Perchè adoro la parola Desiderio…


Credo che esistano tante parole bellissime: passione, libertà, comunità… parole che emozionano, parole che fanno sognare… credo sia meraviglioso riscoprire l’etimo delle parole… il loro significato più intimo… adoro scoprire che le parole non sono lanciate in un mare di confusione… ma che hanno una loro ragione, una loro vita… una loro musica…. Per esempio, io adoro la parola Desiderio perché penso che mi lega alla vita, a ciò che faccio…. Forse perché sono curioso, forse perché ho sempre avuto il coraggio di inseguire ciò che più desideravo… forse perché sono sempre andato verso la mia Itaca… forse perché ho sempre pensato che la vita fosse una sorta di navigazione… nasciamo in un porto sicuro e carico d’amore… e poi piano piano la nostra nave lascia quel porto e va verso Itaca… e non esistono strade sicure, non esistono strade certe… forse la strada migliore è quella fuori dalle rotte sicure, proprio perché va verso Itaca, perché ha il coraggio di osare la vita….

Ecco le aziende sono un po’ come la vita, non esistono sistemi di gestione del personale giusti o sbagliati, non esistono elementi predittivi e non esistono strumenti efficaci ed efficienti… Io per esempio, da anni mi diverto a costruire sistemi di valutazione a 360°, che utilizzano la scala delle differenze apprezzabili, mi diverto a costruire indici di performance di human capital… mi diverto a cercar di capire i processi di pianificazione del personale… e credo che la parola Capitale Umano, non significhi null’altro che una tecnica di progettazione del sistema azienda, non è un caso che credo nella costruzione del bilancio del capitale umano… ma ciò che è importante, ciò che rimane alla base della gestione del personale è l’ascolto, l’ascolto ed ancora l’ascolto degli uomini e delle donne che popolano le aziende… ascoltare i loro bisogni, le loro preoccupazioni, i loro desideri… è l’elemento fondante del vantaggio competitivo! È al cuore dell’azienda che la gestione del personale si rivolge… al Desiderio!

C’è un libro stupendo di Henri Laborit, Elogio della fuga, dove nella prefazione si legge :

“Quando non può più lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l’andatura di cappa (il fiocco a collo e la barra sottovento) che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all’orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l’illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti dalle compagnie di navigazione. Forse conoscete quella barca che si chiama Desiderio” (pag.3)

Adoro questa pensiero, adoro la sua complessità… provate a rileggerlo… ci ritroverete tutto quello che in questo blog ho sempre scritto… amore, passione, ascolto, creatività, innovazione, valorizzazione…. seguire strade diverse, non significa fuggire… ma significa trovare nuovi orizzonti, significa poter ammirare nuove aurore… ed emozionarsi nel vedere nuovi tramonti… significa ascoltarsi, guardarsi dentro….

Per un’azienda significa investire negli uomini e nelle donne… nella loro creatività… significa vincere le sfide del mercato… superare le crisi… ogni volta che rileggo questo pensiero di Laborit, penso sempre che sia una delle più belle definizioni di resilienza organizzativa!

Ecco credo sia importante seguire sempre se stessi, migliorandosi sempre… penso….

I think it’s important to have an objective and be able to achieve, to make this one of the characteristics is to be competitive with yourself, through a strong motivation characterized by commitment everyday. I think succeed, people that believing in yourself, in the beauty of their dreams, believing in your dreams is an important attribute of human existence; every thing from a psychological point of view is challenging, but the psychology is to understand yourself…. To go beyond!!!!!

cit. Henri Laborit, Elogio della fuga, Oscar mondadori, 2012, pag.3

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  1. Club del Libro - Bari ha detto:

    Ho cercato le parole più adatte per commentare questo post, non trovandole. Credo, tuttavia, che ogni considerazione sia racchiusa in esso stesso.
    E questa non vuole essere una facile via di fuga (la fuga…) per evitare di scrivere sciocchezze o smascherale la mia inadeguatezza (reale) a scrivere qualcosa all’altezza dell’occasione. È piuttosto la più plateale forma di accettazione e condivisione del pensiero qui espresso; una filosofia di vita che, se adottata fedelmente, può condurre se non alla felicità a qualcosa che le si avvicini molto.

    In ‘desiderio’, poi, come tu scrivi, porta a inseguire costantemente un obiettivo, il che implica il suo mancato raggiungimento, oppure la ricerca costante di nuove mete una volta toccate le precedenti. Il che fa della vita – se mi passi il gioco di parole – qualcosa di realmente vivo e vitale; un’esperienza in movimento, in continua evoluzione, che riempie e appassiona come la trama di un bel romanzo.

    – Angela –

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  2. Da alcuni giorni mi pongo una domanda a prima vista superflua ma credo in realtà molto utile per reagire.
    Qual è il peso delle parole non dette?
    Parlo di quelle decedute tra pensiero e palato. Quelle che ti sussurri tra i ragionamenti, tra le ansie e le incredulità.
    Forse hanno precisamente il peso equivalente all’azione senza perdere tempo nell’annuncio o forse hanno il valore di un silenzio consapevole o del tempo di una giustizia. Forse giungere a non proferire parole ha il valore della volontà di fare per costruire un futuro intriso di concretezza, di impegno e di sudore. Queste parole che viaggiano nell’aria nessuno le proferisce ma tutti le respirano insieme al timore di un domani. Appunto proprio il domani è l’unico proprietario delle nostre parole. Di quelle ancora da nessuno scelte. E avere troppi forse rende il domani un interlocutore celato da un presente troppo ingombrante.
    Ma le parole non dette sono quelle vagliate per non essere pronunciate, per trattenerle dentro come perla in una conchiglia. Hanno il sapore di un pensiero intimo che si racconta nel velo che alcuni occhi hanno senza volerlo. L’espressione di queste parole silenziose danno il senso ai sentimenti, danno luogo alla storia dell’umanità, ad un cammino inarrestabile in cui ognuno di noi è parte integrante. Sono parole che indossiamo senza maschera e che ci raccontano volontà inespresse ma decise a plasmarsi in fatti e decisioni. Le parole, quelle invece dette, sono aguzze e possono dividere o unire idee e conseguenzialmente persone, gruppi, settori, tessuti della società. E allora non dire Ti amo, oltre quello che si dice alla persona che si vuole accanto, al proprio progetto di vita, alle proprie idee e alla propria terra ha forse il gusto forte della proprietà. Un gusto lontano dal possesso o dall’ossessione dell’avidità ma altrettanto vicino alla volontà di poter dire che il nostro essere può fare la differenza, può dare un suono nuovo, un sussurro inatteso e perchè no un vento di novità. Forse allora le parole non dette hanno il peso dell’innamoramento per ciò che siamo come leva e ingranaggio in altri siamo di una società in perenne movimento. Gli inglesi utilizzano una perifrasi perfetta per indicare l’innamoramento: “fall in love”, cadere in amore. La nostra lingua indica un’entrata nello stato in-amore mentre la lingua inglese indica una caduta nello stato dell’amore, perché in realtà tale è ovvero è cadere improvvisamente come in un reale capitombolo quando si cammina. Lo stato di caduta in cui inizialmente si scende come quasi di livello e la cognizione del tutto ovattata tralasciano una parte di ciò che accade nel nostro intorno e focalizzano l’oggetto che ci si pone davanti come l’unica visione e prospettiva della vita. L’impossibile o il poco probabile diventa nell’atto della caduta possibile o quasi necessario per il prosieguo della direzione vitale della nostra esistenza. Si cade appunto ma ci si rialza nuovamente in una sorta di danza in cui non si sa chi cadrà e chi farà da morbido cuscino per attutire il colpo. Ma queste cadute non hanno dolore. Hanno una condizione dolce che ti trasporta oltre il tuo stato iniziale, oltre le tue roccaforti e ti pone oltre il ponte elevatoio e per lo più senza una vera armatura efficace. Non sei in lotta con l’altro/a ma sei in lotta con te stesso, stai mutando e una linea sottile tra chi sei e chi sarai ti si pone come cerniera tra ieri e domani. Semplicemente con l’innamoramento stesso del tuo progetto di vita e del tuo andare avanti ti stai evolvendo. Questo meccanismo non è facile perchè richiede rinunce, richiede costante lungimiranza e soprattutto richiede fiducia in se stessi, oltre la sfiducia che l’esterno ti porta ad avere e oltre i contrasti con progetti che altri siamo hanno avviato. Se si supera questa soglia in cui le persone perdono perlopiù perchè attratte dalla convenienza del momento e dalla gran voglia di non andare incontro a sofferenze si passa allo stadio successivo e decisivo: l’amore. Per se stessi. Per chi si ha accanto e ci ha accompagnati nonostante tutto. Per l’incerto futuro. Per la propria coscienza. Semplicemente per la vita. E questo stadio è etimologicamente simile tra le due lingue. Amare e il To love cercano di coniugare un sentimento radicale e personalmente coniugabile sempre in modo differente. La scelta di vivere qualcosa così profondo in un modo piuttosto che un altro è dato dalle mancanze e dalla voglia di riempire spazi vuoti che ognuno di noi detiene ben nascosti tra le mura della sua roccaforte. Il vero stato di eternità che viene rubato quando l’amore fa da sottofondo pone questa danza iniziale come la regola non detta che lega poi un uomo e una donna in unico progetto e che pone la pietra miliare per la costruzione di una nuova roccaforte, comune e nuova per entrambi.
    Allora qual è il vero peso delle parole Desiderio, Fuga, Osare, Speranza, Futuro? Le parole non dette possono avere solo il peso che diamo alla nostra vita e al sorriso che dobbiamo avere quando cadiamo…

    Non dobbiamo dubitare che l’essere umano anche ora stia cadendo…

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  3. Adele ha detto:

    Le parole non sono a caso, mai, anche quando ci sembra che lo sono, anche quando ci sembra che sono solo futili, inutili e insignificanti parole, spesso importanti, ma dette senza importanza. Le parole hanno sempre un senso che va al di là di noi, le parole ci travalicano. Detto ciò tutti desideriamo e amiamo desiderare, che sia per un’ora, che sia il capriccio di un attimo o che sia per tutta la vita. I desideri sono la cosa più importante che abbiamo e non si può prenderli in giro più di tanto, come i più bei fiori si sciupano, come i più caldi fuochi si consumano. Così, alle volte, vale la pena di non dormire per star dietro ad un proprio desiderio 😉 …Bellissima la visione dell’azienda improntata sui desideri delle persone che la fanno, perchè non si deve mai dimenticare l’organismo azienda fatto dai bisogni del personale che lo abita… Affascinante è l’idea del desiderio come cuore dell’azienda, suo motore di sogni, progetti, estensioni e correzione di difetti… Sano è l’ amore che tu provi per questa parola che per me indica un legame, il legame che si ha con l’oggetto del proprio desiderio, con quel qualcosa che c’è e che desideri ma che non hai, almeno per il momento. Ma a tal proposito mi chiedo: siamo sicuri che si debba sempre desiderare quello che non si ha? Siamo sicuri che la felicità sta nell’avere quello che si desidera e non nel desiderare quello che si ha? Siamo proprio sicuri che quel porto sicuro e carico d’amore non sia la nostra felicità più grande? A volte, come direbbe la Dickinson, l’infinito ha la latitudine di casa…La mia non vuole essere una provocazione, ma, solo un’occasione di riflessione ulteriore, anche perchè dopo aver letto con calma questo post mi è subito balenata questa domanda, soprattutto dopo aver letto la citazione tratta dall’ Elogio della fuga di Henri Laborit, dove l’associazione fuga – desiderio è abbastanza esplicita! L’immagine della barca chiamata desio è fin troppo bella per essere da me qui smontata, e nello stesso momento in cui penso questo e lo scrivo me ne rendo conto, ma sto seriamente pensando che forse la romantica traversata dell’uomo che cerca e viaggia e desidera la meta del suo viaggio, non sia altro che un modo per allontanarci da quella realtà che è il nostro desiderio concreto, quello che realizziamo vivendo nella realtà di ogni giorno e che abbiamo lì con noi e che non deve lasciarci solo invano vagare ma concretamente realizzare. E non è una rotta sicura e senza imprevisti quella della vita reale, anzi…ma forse questa è solo la mia di realtà, la realtà di una donna un pò bambina che spesso e volentieri confonde il desiderio con la voglia e annulla la sua volontà di fare e di sperare…forse sono solo parole, le mie, quelle che dico a me stessa per non addormentarmi e imbambolarmi davanti ai miei troppi desideri…perchè dopo tutto questo scrivere e ciarlare una cosa certa c’è: nella vita, seppur in questa breve vita, c’è sempre tempo per desiderare ed è da sempre che infiniti desideri ci posseggono…

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